San Giorgio

SAN GIORGIO

Patrono di tutti gli Esploratori e le Guide

Si festeggia il 23 aprile
Giorno in cui tutti gli scout rinnovano la loro promessa

La leggenda di San Giorgio

Il Principe di Cappadocia, ufficiale dell’esercito romano da poco convertito al cristianesimo, ritornava in fretta al suo palazzo di Mazaca. La prossima nascita di un bambino lo richiamava presso la sua sposa. Al suo arrivo viene a sapere che gli è nato un figlio. Purtroppo il bambino è molto debole e sembra che non potrà vivere. In altri tempi il Principe di Cappadocia avrebbe sacrificato agli dei pagani, ma ora è a Dio che offre suo figlio: “Signore, sia fatta la Tua volontà! Ma se la Tua bontà gli lascia la vita, egli crescerà nel tuo amore e vivrà solo per la tua gloria”. Dal momento in cui il bambino viene battezzato ritorna alla vita. «Tu vivrai, figlio mio! Tu traccerai un solco nel mondo pagano. Seminerai il buon grano, la buona parola e farai cre­scere le buone piante delle virtù. Tu vivrai! E forse un giorno, per renderla più feconda, bagnerai la terra con il sangue che io ti ho donato. Agricola, Giorgio! Tu sarai un mio operaio!».

Quindici anni sono passati. Il Principe è morto al servizio di Roma. Durante tutta la sua infanzia Giorgio impara ad avvicinarsi agli umili, ad interessarsi al loro lavoro. Impara ad andare a cavallo, a maneggiare le armi e ad avere sete d avventure. Egli si reca a Nicomedia per offrire i suoi servigi all’Imperatore. A corte è il regno della lussuria e del vizio, ma l’anima pura e diritta di Giorgio ignora il male, egli pensa con rispetto all’imperatore al fianco del quale suo padre ha combattuto i barbari. Da parte sua l’imperatore desidera considerare Giorgio come un figlio e gli affida la carica che era stata di suo padre.

Questa nomina provoca gelosie da parte del proconsole Marcello, un pagano furbo e crudele che odia i cristiani. Egli ha assistito alla conversione del padre di Giorgio e non mette in dubbio che anche il figlio sia un discepolo di Cristo. La sua rabbia è tanto maggiore in quanto Diocleziano lascia liberi i cristiani. Giorgio conquista rapidamente autorità ed ascendente, sa farsi amare dai grandi come dagli umili. Le persone che lo circondano vedono subito un parallelo tra la sua vita virtuosa e la sua religione. Il suo zelo e la sua franchezza hanno ragione degli attacchi che mirano a farlo disistimare agli occhi dell’imperatore e questi lo innalza ai più alti ranghi del suo esercito. Massenzio fa esercitare una sorveglianza discreta ma costante su Giorgio.

Un giorno Marco, uno schiavo affrancato, al servizio di un sacerdote cristiano, annuncia a Giorgio che la notte seguente si terrà un’assemblea al campo dei tre cedri. Malgrado la relativa libertà, i cristiani restano guardinghi. Venuta la sera, il cavaliere avvolto nel suo mantello va alla riunione nella quale numerose persone ascoltano con amore l’esortazione del sacerdote di Gesù Cristo. Ma due uomini lo hanno seguito e osservano in silenzio la folla da una piccola altura poco distante. L’indomani il proconsole Massenzio chiede un’udienza a l’imperatore e imbastisce un storia di un complotto contro Diocleziano e contro l’ordine costituito. Egli esprime la sua inquietudine di fronte al mistero delle riunioni, al numero e alla diversità dei cospiratori e chiede un’azione energica.

Diocleziano non presta molta attenzione al racconto di Massenzio. Ma a forza di insistere e con molta abilità, il proconsole ed i suoi amici arrivano a farlo preoccupare. Diviso fra il timore di essere giocato e l’idea di vedere turbata la pace, egli decide di interrogare gli dei, senza nemmeno ascoltare Giorgio.

Egli sacrifica una giovenca di trenta giorni. Ma i sacerdoti, incaricati di leggere il futuro nelle viscere della vittima, assoldati da Massenzio gli dichiarano: «Dei cani che sono sparsi per il mondo impediscono di dire la verità». E gli spiegano che questi cani sono i cristiani. Diocleziano è preso da una violenta collera e giura di sterminarli. Massenzio, da parte sua, gioisce di questa vittoria.

Le persecuzioni, sospese da ventotto anni, riprendono. Giorgio tenta di far cambiare la decisione dell’imperatore facendogli vedere il pericolo che ciò rappresenta per la pace dell’impero, pericolo che il ritorno delle persecuzioni, già subite sotto il regno di Nerone, comporterebbe. Egli dimostra all’imperatore che i cristiani sono fra i sudditi più leali e gli svela la perversità di coloro che lo spingono a far versare del sangue innocente. Diocleziano rimane inflessibile, Giorgio gli restituisce la spada ed esprime l’intenzione di non farsi più vedere a corte. Sorpreso da tanta fermezza e scontento di questa opposizione, pur senza dare nessun ordine, Diocleziano gli consente di partire e rimpiange di non poter contare sulla fedeltà di un soldato tanto pieno di lealtà nei suoi confronti.

L’indomani, pensando ad un colpo di testa di Giorgio, egli invia dei pretoriani per farlo ritornare sulle sue decisioni e accetta anche di dimenticare che egli è cristiano, se obbedisce agli ordini impartiti. Giorgio rifiuta e riparte la se­ra stessa per la sua provincia natale. Qui trova sua madre morente che approva la sua decisione.

Dopo aver distribuito una gran parte delle sue ricchezze ai poveri, egli parte in pellegrinaggio verso la Giudea. Il pen­siero dei suoi fratelli che soffrono per la loro fede lo fa tornare indietro. Sulla strada del ritorno, nelle steppe della Siria egli si ferma in un palmeto. Non lontano da li, nella ricca città di Lidda, viveva un popolo felice, ma una calamità si era abbattuta su di esso.

Un enorme dragone terrorizzava la popolazione. Con il ventre giallo macchiato di marrone, il dorso coperto da grosse scaglie, la coda di una lunghezza smisurata, spalancava una bocca enorme armata da un numero infinito di denti aguzzi. Invano la popolazione aveva cercato di distruggerlo. Per tenerlo lontano gli abitanti di Lidda avevano deciso di sacrificare le due più grasse pecore. Abbandonate in un lungo deserto vicino allo stagno dove sonnecchiava il mo­stro, questi aveva preso l’abitudine di venire in quel luogo per prendere il suo pasto. Passando il tempo le pecore erano venute a mancare e gli abitanti avevano deciso di offrire una persona, tirata a sorte senza distinzione di età o di condizione. Tutto il paese ne era addolorato. Quel giorno era proprio la figlia del sovrano di Lidda che era stata designata dalla sorte. Il re, affranto dal dolore, era stato costretto ad acconsentire. Rassegnato, egli guarda sua figlia allontanarsi verso il luogo di sacrificio. Giorgio osserva la scena dall’alto di una collina. La principessa si ferma, allora egli la raggiunge e viene messo al corrente di ciò che sta per accadere. Egli rifiutò di partire e, malgrado le suppliche della principessa, le promette di salvarla in nome di Gesù Cristo.

Uscendo dalla palude appare il dragone. Giorgio balza su suo cavallo e prima che l’orribile bestia possa avvolgerlo con le spire della possente coda, lo trafigge con la sua lancia. L’immonda bestia in un sussulto di dolore si rotola più volte su se stessa, poi, aprendo la sua gola schiumante striscia verso il cavaliere Giorgio le pianta, allora, la sua spada nella gola. I cittadini acclamano il giovane paladino e lo portano in trionfo verso la città. Il re, in formato di ciò che era successo, si prostra davanti a Giorgio. Nei giorni seguenti egli riceve il battesimo, insieme a sua figlia e a tutta la città. Schivando gli onori, Giorgio ritorna a Nicomedia. Le persecuzioni contro i cristiani sono state proclamate ufficialmente. Al suo arrivo apprende con tristezza l’apostasia, per paura delle torture, di molti di quelli che conosceva come fedeli. Da quel momento egli visita i cristiani nelle loro case e nelle prigioni, li esorta alla pazienza e li incoraggia a soffrire per Cristo. Informato del suo ritorno, Diocleziano lo fa chiamare: è pronto a dimenticare tutto se Giorgio sacrifica agli dei. Il giovane cristiano gli risponde: «Non c’è che un unico vero Dio ed è un Dio di bontà e di amore».

L’imperatore lo congeda ma lo lascia libero.

Uscendo dal palazzo Giorgio strappa un editto dell’imperatore contro i cristiani, allora i soldati si impadroniscono di lui. Il proconsole, avvisato, è fin troppo felice di questa occasione per soddisfare il suo odio verso il giovane cristiano. Lo fa mettere in carcere e poi tenta di convincere l’imperatore a farlo torturare. Ma quest’ultimo non ha perduto l’idea di sottomettere Giorgio. Fa torturare davanti a lui una diecina di giovani cristiani che muoiono tutti invocando il dolce nome di Gesù. L’esempio della loro morte incoraggia il giovane principe di Cappadocia a perseverare e a morire come essi in unione con Cristo.

Questa volta l’irritazione di Diocleziano è tale che egli dà ascolto a Massenzio e fa flagellare pubblicamente il giovane cavaliere. Di fronte alle conversioni che seguono la flagellazione di Giorgio, il proconsole spinge Diocleziano a mettere a morte Giorgio.

Tuttavia l’imperatore spera sempre di piegare il principe e lo fa rimettere in prigione. Là egli converte i criminali della sua cella, con grande rabbia di Massenzio che lo fa incatenare in una cella isolata. Un guardiano lo visita due volte al giorno. Ma anche quest’uomo viene convertito. Questa conversione rimane segreta. In effetti un carceriere cristiano rappresenta un meraviglioso conforto per i prigionieri e permette loro di ricevere la visita di un sacerdote il giorno prima dell’esecuzione.

Un’ultima volta Diocleziano tenta di convincere Giorgio, questi sembra piegarsi e chiede di essere condotto davanti agli dei pagani. La notizia si sparge rapidamente e una gran folla si dirige verso il tempio. Il grande sacerdote invita Giorgio ad offrire incenso all’idolo. Giorgio rifiuta, si dirige verso l’altare del sacrificio e, fissando la statua di Apollo, ad alta voce, grida:

«Apollo sei tu un dio? No! Non sei un dio ma un semplice simulacro».

Dicendo ciò egli fa il segno della croce.

In quel momento la statua di Apollo cade dal suo piedistallo e si spezza ai suoi piedi. Numerosi sono, fra i testimoni della scena, coloro che si convertono vedendo la potenza del Dio di Giorgio.

L’indomani, il 23 aprile 303 Giorgio stremato da una notte di torture, viene condotto fuori della città. Nel momento in cui il carnefice taglia con un sol colpo di spada la testa a Giorgio, un uragano si abbatte sulla città. Nicomedia solcata dalla luce dei lampi. Con un fracasso terribile una folgore cade sul palazzo di Massenzio, polverizzando il proconsole e coloro che lo circondano.

Il Santo Martire aveva 22 anni. Il suo corpo viene raccolto con venerazione da alcuni cristiani che lo sotterrano in un loro campo verso Nicomedia. Dopo qualche anno le persecuzioni cessano per ordine di Costantino. La preziosa reliquia viene trasportata a Lidda, la città del drago, in cui viene eretta la prima basilica dedicata al santo. Meno di 10 anni dopo la sua morte, la vittoria di Giorgio completa.